La Cgil di Piacenza chiede chiarezza e celerità nell’inchiesta che riguarda i sindacati autonomi SiCobas e USB. “Le inchieste degli ultimi giorni – si legge nella nota della segretaria della Cgil – dimostrano quindi come una regia territoriale che possa governare e prevenire certe storture non sia più rinviabile per Piacenza. Ecco il testo
I lavoratori del settore della logistica piacentina sono da molti anni impegnati, assieme al sindacato, a lottare contro lo sfruttamento, per la legalita’ e il miglioramento delle loro condizioni di lavoro. E’ per loro, e con la massima fiducia nel sistema giudiziario italiano, che chiediamo chiarezza e celerità nell’inchiesta in corso. La necessità di rafforzare, tramite l’azione sindacale, il protagonismo e i diritti dei lavoratori è un tema centrale oggi, come lo era ieri e come lo sarà domani: i conflitti tra lavoratori e aziende sono diffusi ed evidenti in un settore cresciuto in modo incontrollato e spesso a scapito dei diritti dei lavoratori. Grandi aziende della logistica hanno fatto affari grazie a una catena di appalti e subappalti formata da cooperative, mini appaltatori e microaziende il cui unico fine è abbassare il costo del lavoro. Ed è in questa “catena degli appalti” che le responsabilità sociali sono diluite e i lavoratori, per la maggior parte immigrati, sono più deboli. Questa deriva deve essere fermata.
Le inchieste degli ultimi giorni dimostrano quindi come una regia territoriale che possa governare e prevenire certe storture non sia più rinviabile per Piacenza.
E’ quasi superfluo dire che la Prima Camera del Lavoro “sorta sotto i cieli d’Italia” ormai 131 anni fa si batte per la tutela dell’esercizio delle funzioni sindacali, per la libertà di espressione e la democrazia in tutti i luoghi di lavoro e per difendere il diritto di lavoratrici e lavoratori di scioperare e manifestare, così come sancito dalla nostra Costituzione nata dalla Resistenza partigiana.
Rivendichiamo oggi come abbiamo sempre fatto il contrasto alle infiltrazioni della criminalità organizzata, la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, il rispetto della dignità di lavoratrici e lavoratori e la piena attuazione della democrazia in ogni luogo di lavoro – sottrarre lavoratori e lavoratrici – spesso tra i più deboli e ricattabili – alle logiche dello sfruttamento.
Pubblichiamo anche la lettera firmata di una rappresentante sindacale SiCobas del magazzino Nippon di Piacenza. Una lettera dai toni molti duri nei confronti dell’indagine in corso, “se l’intento era quello di screditare il sindacato agli occhi dei suoi iscritti – si legge – dopo questa operazione lo sosterremo con ancora maggiore convinzione” e ancora “Credo non ci sia bisogno di commentare ulteriormente rispetto alla mala fede dell’impianto accusatorio”. Chiaro il riferimento ai sindacati confederali, in particolare alla Cgil nel passaggio “suggerisco infine alla Procura di spendere i soldi pubblici non in indagini contro le uniche persone che hanno dato un po’ di giustizia a noi operaie piacentine, ma contro quei sindacati confederali (non faccio
nomi ma credo che tutti possiate dedurre a chi mi riferisco) che anche nel nostro posto di lavoro esercitavano un ferreo caporalato discriminando chi non aderiva alla loro sigla” . Ecco il testo
Scrivo per comunicare quanto sia rimasta interdetta dagli arresti dei miei dirigenti sindacali e da come la vicenda è stata presentata dai media locali.
Leggendo i principali siti di informazione, infatti, viene ripresa senza alcun approccio critico la versione a mio avviso farsesca fornita dalla Procura al momento degli arresti. Negli atti si legge chiaramente che il S.I.Cobas “estorcerebbe” contratti migliorativi rispetto al contratto nazionale per i suoi iscritti. Credo che questa frase dica già tutto: quale altro dovrebbe essere il compito di un sindacato? Si legge poi che il sindacato “lucrerebbe” sulle tessere. Nella realtà, questa frase andrebbe corretta in “come ogni altro sindacato, il sostentamento dell’organizzazione deriva dagli introiti delle tessere”. E anche qui non vedo nulla di male. Si parla infine di “ricavi personali”, e questo è il punto che mi ha fatto più arrabbiare. Conosco personalmente le persone arrestate, e le loro condizioni di vita sono al limite della povertà. Quanto all’utilizzo che ogni operatore sindacale ha deciso di fare dei suoi introiti (siano essi lo stipendio che percepiscono o il valore delle conciliazioni) chiunque sa che ciò non ha alcuna rilevanza penale (che infatti non viene contestata negli atti). Che uno decida di comprare una casa per i suoi genitori al paese di origine, giocarseli alle macchinette o risparmiarli per le vacanze è del tutto irrilevante, e darvi pubblicità serve solo a creare una patina di sospetto intorno agli stessi. Come donna, infine, sono particolarmente offesa dal fatto che si “incrimini” il fatto che il S.I.Cobas ha utilizzato parte dei suoi introiti per finanziare numerosi pullman diretti a manifestazioni nazionali, come
quella che ogni 25 novembre si svolge a Roma contro la violenza di genere.
Credo non ci sia bisogno di commentare ulteriormente rispetto alla mala fede dell’impianto accusatorio, e posso assicurare che se l’intento era quello di screditare il sindacato agli occhi dei suoi iscritti, dopo questa operazione lo sosterremo con ancora maggiore convinzione.
Suggerisco infine alla Procura di spendere i soldi pubblici non in indagini contro le uniche persone che hanno dato un po’ di giustizia a noi operaie piacentine, ma contro quei sindacati confederali (non faccio nomi ma credo che tutti possiate dedurre a chi mi riferisco) che anche nel nostro posto di lavoro esercitavano un ferreo caporalato discriminando chi non aderiva alla loro sigla e che, proprio sino all’intervento del S.I.Cobas, ci hanno tenuti per anni con livelli di inquadramento e paghe più basse di quanto previsto dalla legge. Il mondo al contrario: si persegue chi fa rispettare la legge, si lasciano liberi quelli che sfruttano.
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