UN POMODORO, UN MERLETTO E UN HASHTAG, POTEVA ESSERE IL BRAND PIACENZA. A TUTTO TONDO

Un pomodoro tondo e rosso con il ciuffetto verde che richiama il merletto di palazzo Gotico, che a sua volta si trasforma in un hashtag un po particolare. Un mix di elementi, il pomodoro e il merletto del Gotico, che caratterizzano Piacenza con un tocco di modernità virtuale. Poteva essere il brand Piacenza, il marchio che che avrebbe potuto rappresentare la città nel mondo, non solo in vista di Expo. Era stato presentato un anno fa, ma poi non si è saputo più nulla.

Tre giovani ricercatori del laboratorio MUSP, due di questi ingegneri hanno vinto il bando Officina Mille Miglia promosso da Mille srl e dall’Unione Industriali di Brescia. Un successo per questi tre giovani ragazzi che il cui progetto è stato scelto da 26 provenienti da tutta Italia. Il progetto unisce le nuove tecnologie 3D al mondo di nicchia delle auto d’epoca.

In un momento in cui si parla di accorpamento a livello regionale degli enti fieristici, e in cui Piacenza Expo ha chiesto ai soci l’aumento del capitale, è interessante conoscere quale impatto sociale le attività dell’ente fiera piacentino ha sul territorio. Lo studio è stato redatto da due giovani neo laureati della cattolica di Piacenza del Laboratorio di Economia Locale. L’indotto di Piacenza Expo per il 2014 è pari a 5 milioni 300 mila euro.

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BRAND PIACENZA, CE N’ERA UNO PRONTO UNO ANNO FA

Un tondo rosso e un merletto di un palazzo. Ovvero un pomodoro e il merletto di palazzo Gotico. L’elemento che contraddistingue Piacenza nel suo centro ed il suo prodotto agroalimentare di punta che sapientemente miscelati, con un tocco di modernità virtuale, avrebbero tutte le carte in regole per diventare il brand Piacenza, non solo in vista di Expo 2015, ma che potesse rappresentare la città nel mondo. Gli ideatori, il designer Max Casaroli e l’architetto Ponzini, sono partiti lanciando uno sguardo al mondo: Melbourne, la seconda città più popolosa dell’Australia che ha creato una grande M declinata in ogni forma e colore ed Amsterdam con la sua enorme scritta portata a spasso per la città.

Cosa fare allora per Piacenza? “Abbiamo preso il merletto del Gotico – spiega Casaroli – e il pomodoro, prodotto simbolo della nostra terra, li abbiamo shakerati e abbiamo pensato al ciuffetto verde del pomodoro come un insieme di merletti che a sua volta si trasforma in un hashtag, simbolo del web che unisce creando gruppi ed appartenenza”. Un simbolo che sarebbe potuto diventare il brand di Piacenza ma oggi è troppo tardi anche se Casaroli e Ponzini l’avevano presentato più di un anno fa, era piaciuto moltissimo, ma poi non si è saputo più nulla. “E’ dal 2008 che si sa che l’Expo si farà a Milano – contesta Casaroli – non si può arrivare tre settimane prima indire un bando per il brand, noi ci siamo preparati per tempo e con anticipo l’abbiamo presentato”.

Max Casaroli ha 30 anni, si è formato all’Istituto Europeo di Design di Milano dove tutt’ora insegna e lavora. Tuttavia ha deciso di dividersi con la sua attività tra il capoluogo lombardo e Piacenza dove ha creato un laboratorio creativo con alcune opere esposte, perchè questa è la sua città. “Mi piacerebbe un maggiore coinvolgimento fin dall’inizio nella attività che si propongono, una città più recettiva alle idee dei giovani”.

Il servizio completo con l’intervista nella prossima puntata di A Tutto Tondo 

brand casaroli

DEBRANDING PIACENZA? PERCHE’ NO

Sfoltire, potare, alleggerire per arrivare a decidere cosa identifica meglio Piacenza. Nel bouquet di brand che oggi si collegano alla nostra città è difficile orientarsi e soprattutto salta all’occhio che tra questi manca un collegamento efficacie. Gli esperti di comunicazione ci insegnano che il marchio, che oggi fa più scena chiamare brand, racchiude la storia di ciò che si vuole rappresentare, attraverso una parte grafica ed una testuale. Insomma piuttosto che una ventina di marchi slegati tra di loro, sarebbe stato opportuno scegliere un valore simbolico e rappresentarlo, in una parola, debranding, come l’ha definito l’architetto Franz Bergonzi. “Il vero problema – ha detto Bergonzi – è avere un marchio forte che non sia un mercanteggiare politico, ma bipartisan. Ogni amministrazione dovrebbe passarsi questo testimone, che rappresenta la città”. Ma il brand unico costringe ad una scelta, a rappresentare un valore simbolico forte per illuminare ciò che sta sotto. Un’idea su ciò che Piacenza poteva mettere in luce, dal momento che per il buon vino, i buoni salumi e colline da favola, ahimè, non è l’unica in Italia, Bergonzi ce l’ha, quasi una fissazione dice lui, certamente molto simbolica. “Il Fegato Etrusco, celato più che custodito a Palazzo Farnese – spiega – rappresenta un simbolo unico per Piacenza, proprio del dna del territorio, è un oggetto con una forte funzione divinatoria, è nostro, ed ha una forma bellissima.” Peccato, appunto, che sia quasi nascosto nei musei di Palazzo Farnese e che ne parlino molto di più riviste straniere che italiane. Certo Expo 2015 sarebbe stata un’ottima occasione per sfoggiare il brand Piacenza, ma ormai non c’è più tempo. Stesso discorso o quasi, per quanto riguarda il merchandising,ovvero la memorabilità di un’esperienza turistica, detto in altro modo il souvenir di un tempo, la voglia di portarsi a casa un pezzetto di ciò che si è visto o visitato.”Piacenza è timida anche da questo punto di vista – ci dice l’architetto Bergonzi – il merchandising non c’è istituzionale e culturale non esiste, è un grosso peccato”

Il servizio completo nella prossima puntata di A Tutto Tondo 

DEBRANDING PIACENZA