“BARRIERA GENOVA, QUI LE RADICI DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA”

C’erano le principali autorità civili e religiose a Barriera Genova, in occasione dell’omaggio ai caduti del 9 settembre del 1943, quando soldati e civili si opposero all’incedere delle truppe naziste con un bilancio pesantissimo: 31 morti e decine di feriti. Era il giorno seguente l’armistizio firmato dal governo Badoglio con gli alleati anglo americani.

Ecco il discorso della sindaca Tarasconi nel corso della cerimonia alla presenza della vice presidente della Provincia Patrizia Calza e del presidente dell’Associazione Combattenti e Reduci Raffaele Campus

Con un senso di profonda partecipazione, come ogni anno Piacenza rende omaggio ai caduti nella battaglia del 9 settembre 1943, che proprio qui a Barriera Genova, porta di ingresso verso il cuore della nostra città, vide militari e civili opporsi strenuamente, gli uni accanto agli altri, all’incedere delle truppe naziste. Nel loro sacrificio, nel valore di quell’estremo atto d’amore verso la propria terra, nell’anelito della lotta per la libertà che vide gli albori in quella mattina di fine estate, riconosciamo commossi, ancora oggi, il germoglio della Resistenza.
Erano trascorse poche ore da quando, la sera prima, la radio aveva trasmesso l’annuncio dell’armistizio nel breve, lapidario proclama del generale Badoglio. Le milizie tedesche, avanzavano verso le linee di difesa collocate in punti strategici – a Rottofreno, sul ponte di, Trebbia, alla Galleana, a Sant’Antonio – sino a questo stesso piazzale, dove il 4° Reggimento di Artiglieria, comandato dal colonnello Dante Coperchini, avrebbe subito le perdite più pesanti. La disparità nella dotazione di armamenti era schiacciante, ma solo i
ripetuti bombardamenti di un aereo Luftwaffe, levatosi in volo da San Damiano, poterono costringere alla resa definitiva i soldati italiani.
Tra le loro file si sarebbero contati, al termine di quel durissimo scontro a fuoco, 31 morti e decine di feriti. Cinque vittime tra coloro che non indossavano una divisa dell’Esercito, sotto i colpi del mitra che continuò a sparare anche lungo corso Vittorio Emanuele, mentre il nemico si avvicinava a piazza Cavalli dove – su ordine del generale Rosario Assanti alla guida del Comando di zona – venne sventolato infine il drappo bianco che scongiurò, per la città, l’ombra di una rappresaglia ancor più devastante, ma non poté evitare la deportazione nei campi di lavoro, in Germania, per i militari che furono fatti prigionieri.
Coltivare il ricordo di questo drammatico capitolo del nostro passato, determinante nel segnare l’inizio del lungo e difficile percorso verso la Liberazione, significa non solo onorare chi ha dato la vita per un futuro di pace, pluralismo e convivenza civile tra i popoli, ma anche riaffermare questi stessi ideali – e farcene portavoce – nel nostro tempo, ancora ferito dall’orrore della guerra. A questo, oggi più che mai, deve servire la riapertura di una pagina
di storia che, a 81 anni di distanza, continua a rappresentare per la collettività un patrimonio condiviso di memoria e consapevolezza, nel richiamo forte e imprescindibile alle radici della nostra democrazia, così come al dolore indicibile delle generazioni che ne hanno pagato, carissimo, il prezzo.
Per loro ci ritroviamo qui, al cospetto della lapide dove deponiamo le corone d’alloro simbolo di eterna riconoscenza, dove leggiamo i nomi che hanno tracciato il solco in cui camminiamo. Dove sentiamo nostro, infine, il dolore indicibile che scaturisce da ogni conflitto, in ogni parte del mondo, oggi come ieri. Ai Caduti di Barriera Genova, perché il loro esempio e il loro sacrificio non restino mai un monito inascoltato.

 

COMMEMORAZIONE DELLA PERTITE, SINDACA: “QUESTA TRAGEDIA NON E’ UN CAPITOLO CHIUSO”

Nell’84esimo anniversario della tragedia della Pertite è stata la sindaca Tarasconi a ricordare le 47 vittime e le centinaia di feriti a seguito dell’esplosione della fabbrica di via Emilia Pavese. Stamattina la cerimonia di commemorazione in piazzetta Pescheria.

Ecco il discorso della prima cittadina

La tragedia della Pertite è una ferita ancora aperta nella memoria e nel cuore della nostra comunità, che a 84 anni di distanza da quell’8 agosto del 1940 rende omaggio, con immutata partecipazione, alle donne e agli uomini le cui vite furono inghiottite nel ventre della fabbrica dal fragore di due esplosioni, l’una poco dopo l’altra. Sabbia e detriti ammantarono le strade e i tetti nei quartieri circostanti, vetri infranti nelle case silenziose, cui il fumo denso delle polveriere in fiamme annunciava all’improvviso l’indicibile. Tutti sapevano che nello stabilimento di via Emilia Pavese si maneggiavano esplosivi e materiale bellico pericoloso, ma per i 1500 operai che ne varcavano i cancelli ogni giorno,
quell’impiego significava innanzitutto speranza, famiglie cui garantire un pasto in tavola e il sogno di un futuro migliore.
Non fu mai chiarito, nel buio del regime, se a spezzare quei progetti fu una drammatica fatalità o, come si sospettò a pochi mesi dall’ingresso ufficiale in guerra dell’Italia, un vile attentato. Quel che resta, come una certezza che ancora oggi risveglia lo stesso dolore, è che nessuno seppe, poté o si curò di proteggere le 47 vittime della Pertite, gli oltre 700 feriti, né i colleghi e i concittadini che 12 anni prima, nel settembre 1928, erano andati incontro allo stesso, amaro destino: 13 morti, tre persone sopravvissute che portavano, sul
corpo e nell’anima, i segni di quella deflagrazione.

Nella giornata dedicata, per un triste intreccio di date, al Sacrificio del lavoro italiano nel mondo – in onore dei 136 nostri connazionali, tra i 262 minatori che l’8 agosto del 1956 della miniera belga di Marcinelle – Piacenza si
raccoglie in un abbraccio carico di rispetto, di solidarietà, ma anche di indignazione. Perché negli ultimi 35 anni, dicono le statistiche, abbiamo pianto 55 mila caduti nei cantieri, alle catene di montaggio, tra i ponteggi, lungo le arterie che attraversano il nostro Paese.
La Pertite non è un capitolo chiuso nella storia di un’Italia che non c’è più. E’ nei campi di Latina, dove Satnam Singh raccoglieva frutta e verdura a 4 euro l’ora, senza permesso di soggiorno e senza avere il diritto – agli occhi del suo datore di lavoro – di essere portato in ospedale dopo aver perso il braccio tranciato da un macchinario agricolo. E’ a Casalbordino, in Abruzzo, dove sono morti tre operai nello scoppio di una fabbrica che smaltisce e recupera polvere da sparo, altrettante vittime solo tre anni prima quando esplose una cassetta di razzi per le segnalazioni in mare. E’ lungo la linea ferroviaria Milano – Torino, dove i cinque componenti di una squadra di manutenzione sono stati
travolti mentre riparavano un tratto di rotaia, in un punto in cui i protocolli di sicurezza non avrebbero permesso loro di essere in quel momento.
Ritrovarci qui, lungo i decenni, nel nome delle donne e degli uomini che Piacenza ricorderà sempre come martiri del lavoro – forse tra le sue prime vittime civili di guerra – significa per noi coltivare la memoria anche come monito per il nostro tempo. Perché lì è la nostra Spoon River. E coloro che “dormono sulla collina” ci insegnano, ancora oggi, il valore della pace, del lavoro come strumento di dignità, uguaglianza e libertà, della vita come bene  universale e supremo da tutelare.

“TRAGEDIA DI LINATE: UN DOLORE IL TEMPO NON CANCELLA”

“La tragedia di Linate è un dolore che il tempo non cancella, nella memoria del Paese e della nostra comunità, che questa sera sono onorato di rappresentare nel ricordo di Luca Polastri, Marco Moroni e Simone Agosti”. Queste le parole del consigliere Stefano Perrucci, oggi a Milano per prendere parte alla cerimonia religiosa e al concerto dedicato alle 118 vittime della collisione avvenuta, 22 anni fa, sulla pista dell’aeroporto.

“Questa triste ricorrenza – aggiunge Perrucci – ci unisce nell’abbraccio ai loro cari e nella consapevolezza di quanto sia fondamentale riaffermare, anno dopo anno, la responsabilità di garantire il rispetto delle regole, la sicurezza dei mezzi di trasporto e di tutti i luoghi in cui le persone hanno il diritto di sentirsi protette nella quotidianità. Un messaggio di cui si è fatto costantemente interprete, con coraggio e determinazione, il Comitato 8 ottobre 2001, condividendo e dando voce al lutto di tante famiglie nel nome di un encomiabile impegno civile”. 

Accanto alle celebrazioni ufficiali nel capoluogo lombardo, dalla messa in suffragio officiata nella basilica di Santa Maria della Passione al tributo in musica con il galà lirico al Conservatorio “Giuseppe Verdi”, come sempre non è mancato l’omaggio floreale del Comune di Piacenza, deposto stamani ai piedi della stele che, nei giardini Vigili del Fuoco all’Infrangibile, porta i nomi di Luca, Marco e Simone. “Oggi – rimarca Perrucci – ho avuto l’onore di conoscere i suoi genitori: la mamma Mirta e il papà Vittorio, vice presidente del Comitato che riunisce i familiari; un incontro che mi ha profondamente commosso e che ora più che mai mi porta a rinnovare, a tutti coloro che in quel drammatico incidente hanno perso qualcuno che amavano, la solidarietà, l’affetto e la vicinanza dell’Amministrazione comunale e della nostra città”.

 

COMMEMORAZIONE TRAGEDIA DELLA PERTITE, TARASCONI: “OGGI SIAMO QUI PER OGNUNA DELLE VITTIME”

La sindaca Tarasconi, le autorità civili e religiose e Anmil hanno partecipato alla commemorazione della tragedia della Pertite avvenuta l’8 agosto del 1940, in cui perse ro la vita 47 persone e oltre 700 furono ferite dall’esplosione.

Nella Giornata dedicata al Sacrificio del Lavoro italiano nel mondo – in memoria dei 136 minatori, nostri connazionali, tra i 262 che persero la vita l’8 agosto del 1956 nei giacimenti di carbone di Marcinelle, in Belgio – non è mancato il consueto tributo floreale da parte di Anmil, il cui consigliere nazionale Bruno Galvani ha affiancato la sindaca Tarasconi e il prefetto Daniela Lupo per un momento di raccoglimento in onore di tutte le vittime del lavoro, dopo la benedizione e la preghiera affidate al cappellano militare don Pietro Campominosi. Come ogni anno, inoltre, è stato deposto un cesto di fiori da parte della sezione piacentina dell’Associazione nazionale Vittime civili di guerra nonché, al termine della cerimonia istituzionale, da parte del Comitato Amici del Parco della Pertite.

Il discorso della prima cittadina Katia Tarasconi.

C’era il sole, in quel pomeriggio d’estate del 1940 in cui il cielo di Piacenza si coprì, all’improvviso, di una densa coltre di fumo grigia e giallastra dalla quale pioveva sabbia sulle strade, sui marciapiedi, sui tetti delle case. Erano bastati pochi istanti, sanciti da boati profondi e violenti, perché due esplosioni ravvicinate sventrassero lo stabilimento della Pertite, lasciando enormi crateri al posto delle polveriere che custodivano quintali di esplosivo altamente instabile, la cui forza devastante mandò in frantumi le finestre delle abitazioni nei quartieri dell’Infrangibile e di Sant’Antonio, fulcro delle officine belliche che impiegavano, a quel tempo, circa 1500 persone.

Donne e uomini che, come recita la lapide che ne onora la memoria, “fabbricavano, per pane, strumenti di morte”. A 83 anni di distanza da quella drammatica giornata, quando la città si ritrovò a piangere 47 vittime e contare oltre 700 feriti, quella frase riecheggia toccandoci ancora una volta il cuore e chiedendoci conto, senza appello, di tutte le vite spezzate per la mancata tutela del diritto fondamentale alla sicurezza. Come era già accaduto, nel ventre della Pertite, 12 anni prima: settembre 1928, 3 persone ferite, 13 operai che non avrebbero più fatto ritorno a casa a fine turno.

Per ognuno di loro, oggi, siamo qui. Come per i 262 minatori intrappolati nei giacimenti sotterranei a Marcinelle, soffocati dal fumo e dalle fiamme: 136 erano nostri connazionali e nel loro ricordo si celebra il Sacrificio del Lavoro italiano nel mondo. Era l’8 agosto del 1956, negli anni in cui 2 mila uomini partivano ogni settimana verso le miniere del Belgio, perché quelle braccia che scavavano al buio valevano, per ciascuno, 200 kg di carbone destinati in cambio al nostro Paese.

Altri tempi, vorremmo credere. Gli accordi internazionali che misurano il valore della fatica, ma non rendono giustizia a quello della vita. Una Piacenza in cui l’economia di guerra fiorisce, a due mesi dall’annuncio di regime che aveva segnato l’entrata ufficiale dell’Italia nel conflitto, mentre la sera del 10 agosto 1940 trentanove feretri – altri otto se ne sarebbero aggiunti nei giorni successivi – ricevono l’ultimo abbraccio della folla in una città piegata dal lutto.

Eppure, a scuotere anche adesso le nostre coscienze di società civile e consapevole, ammonendoci che il nostro tempo non è poi così lontano da quello che oggi richiamiamo, sono i dati diffusi da Anmil e Inail secondo cui, tra il gennaio e il maggio di quest’anno, in Italia, si sono registrati 358 infortuni mortali: più di due ogni 24 ore. E nei primi sei mesi del 2023, nella nostra provincia, il lavoro è stato fatale per 7 persone: oltre il doppio, rispetto allo stesso periodo nel 2022.

Il pensiero corre alle loro famiglie esattamente come 83 anni orsono, quando risuonavano le sirene delle ambulanze e dei Vigili del Fuoco, giunti anche dalle città vicine, mentre fuori dai cancelli di via Emilia Pavese si assiepavano figli e fratelli, genitori e sposi. Solo nove mesi fa, in un’altra fabbrica a pochi km da qui, il cancello si è coperto di fiori bianchi: erano tutti per Nicoletta Palladini, cui oggi vorrei dedicare l’abbraccio della nostra comunità, in un ideale filo conduttore che ci riconduce alle operaie della Pertite e a tutti i loro colleghi, per ribadire ancora una volta che Piacenza non dimentica.