A pochi giorni dalla richiesta di blindare l’Europa dai migranti da parte di 12 stati dell’UE, in Cattolica si parla di inclusione grazie alla pubblicazione curata da EURICSE che arriva dopo un tavolo di lavoro cominciato due anni fa a Milano, all’università Cattolica, proprio sul tema dell’accoglienza, quella buona e proficua, che fa sentire il richiedente asilo parte della comunità in cui è ospitato. Dalla ricerca emerge come l’Italia sia una costellazione di buone pratiche per lo più sconosciute o invisibili.
L’ACCOGLIENZA BUONA CHE RESISTE
Buba,Yassir, Lamin sono alcuni dei ragazzi richiedenti asilo ospitati nelle strutture che fanno ancora parte del circuito dell’accoglienza. Vivono in questa casa a pochi metri dalla sede del comune di Travo nel cuore della val Trebbia. La loro gestione è affidata alla cooperativa sociale Il Quadrifoglio che gestisce anche altre strutture in accoglienza diffusa a Rivergaro e Fiorenzuola. La presidente Ivana Gracchi non se l’è sentita di uscire dal circuito dopo il taglio dei fondi destinati all’accoglienza; per questo la scorsa primavera ha ricontrattato con la Prefettura i termini dell’offerta per riuscire a garantire ai ragazzi ospitati l’accoglienza dignitosa. “Non siamo migliori o peggiori di altri – ha detto Ivana – abbiamo razionalizzato le spese spiegando ai ragazzi che bisogna stare attenti ai consumi, ad esempio. Non ci sentivamo di lasciarli in mezzo alla strada”.
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Quando ascolti la storia di Djibril capisci cosa significa scappare dalla disperazione alla ricerca di una vita normale. Quando questo 28 enne del Mali ti guarda con gli occhi sinceri, le polemiche sull’accoglienza dei migranti si sciolgono come la neve al sole. Djibril è scappato dal suo paese, da quell’Africa profonda funestata dalla guerra civile che gli ha strappato via i genitori. Il primo luglio del 2014 è arrivato in Italia, dopo aver percorso il viaggio in mare dalla Libia su un barcone, senza cibo né acqua. Un barcone di quelli che ci propongono le cronache giornaliere dei viaggi della disperazione, cariche di giovani, donne e bambini che, troppo spesso, si fermano in mezzo al mare, dopo aver percorso pochi chilometri, in balia del nulla. Oggi Dijbril ha concluso il suo percorso d’accoglienza, ha ottenuto i documenti, ed ha un lavoro. Fa i mediatore culturale, aiuta quei ragazzi che come lui sono arrivati in Italia alla ricerca di una vita normale. Oggi è dall’altra parte, ma con il cuore resterà sempre vicino a chi cerca una vita migliore.
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RIQUALIFICAZIONE BORGO FAXHALL, SARA’ LA VOLTA BUONA? A TUTTO TONDO
Vetrine oscurate, negozi sfitti. Oggi, per la verità da troppo tempo, la galleria di Borgo Faxhall si presenta così. Il centro commerciale a ridosso della stazione ferroviaria, che dovrebbe fungere da biglietto da visita per chi chi arriva in città, sopravvive, diventando negli anni una sorta di roccaforte di questa parte di città, pur non volendolo. Da qui si spiegano gli investimenti in sicurezza a scapito di attività di promozione più spinte. Lunedì in consiglio comunale verrà discussa la pratica di riqualificazione, due i punti imprescindibili per la direzione del centro: il terminal della corriere e il trasferimento di buona parte degli uffici comunali.
Profughi e la loro gestione. Torniamo a trattare questo argomento sotto l’aspetto delle ricadute sociali sul territorio. Al di là dello scontro tra i numeri, il vero problema sta nella tenuta del sistema: a sostenerlo è Raffaele Veneziani, sindaco di Rottofreno oltre che coordinatore provinciale Anci Emilia Romagna. Il rischio è quello di minare il già precario equilibrio che esiste tra i cittadini e amministratori locali.
Riqualificazione del comparto Borgo Faxhall e gestione richiedenti asilo, sono due degli temi principali citati dal primo cittadino Paolo Dosi in occasione del consueto appuntamento dello scambio degli auguri con la stampa. Ma non solo: il sindaco non ha sciolto la riserva sulla sua ricandidatura per preservare l’operato della sua giunta che ha strenuamente difeso da ogni attacco. Una posizione che ha di fatto confermato la debolezza della squadra? Tutt’altro, ci ha risposto il primo cittadino.
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GESTIONE PROFUGHI: ACCOGLIENZA DIFFUSA O TENDOPOLI? A TUTTO TONDO
E’ un tema scottante che mette in evidenza criticità e problematiche. Quella dell’accoglienza dei richiedenti asilo è una questione che divide e talvolta mette in luce brutte pagine come quella a Goro, vicino a Ferrara, pochi giorni fa. La gestione è complicata, sopratutto legata alla difficoltà di reperire luoghi per l’accoglienza e alla fase successiva, cioè terminati i due anni del progetto. Anche il Gus, gruppo umana solidarietà, associazione maceratese, gestisce in provincia di Piacenza una cinquantina di richiedenti asilo da luglio dello scorso anno.
Secondo il Movimento 5 Stelle la proposta di un utilizzo misto dell’aeroporto di San Damiano è privo di buon senso e illogico. I soliti contestatori? In realtà la posizione è ampiamente motivata dalla capogruppo in consiglio comunale Mirta Quagliaroli: le criticità più lampanti sono quelle legate a viabilità, infrastrutture e inquinamento. Una proposta? Alla base di San Damiano la sede della protezione civile del nord Italia.
Collaborazione e sinergia tra famiglia, scuola e insegnanti. L’Associazione Italiana Dislessia presente con una sezione anche a Piacenza ha proprio il compito di fare da collante tra queste realtà. Sulla popolazione scolastica piacentina i casi di bambini con disturbi specifici dell’apprendimento sono 730. Da quest’anno tutte le scuole primarie hanno aderito al progetto di individuazione precoce per intervenire con tempestività sul problema.
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CRISI DEI RIFUGIATI E DIGNITÀ, ESPERIENZE A CONFRONTO
Si è parlato di rifugiati, richiedenti asilo e dignità. La crisi migratoria e’ un banco di prova per la solidarietà degli Stati membri dell’U.E. e per l’attuazione dei diritti umani. A livello comunitario la risposta in questo senso è abbastanza fallimentare: l’ha commentata l’avvocato Nicola Canestrini, presidente della Camera Panale di Trento. “Le leggi dovrebbero tutelare gli immigrati – ha detto – accade davvero così?” Nei bombardamenti in Siria, dal 3 ottobre del 2013 ad oggi sono morti 10.823 persone. “Quel 3 ottobre fu giornata di lutto nazionale, ce ne siamo forse dimenticati?” Si è domandato Canestrini. “Chi dice aiutiamoli a casa loro sa che per la cooperazione internazionale l’Italia spende lo 0,16% del Pil nazionale? Ci sembra abbastanza?. La risposta italiana e’ quella di costruire reti, cancelli e muri”.
Più positiva è l’esperienza locale raccontata da Davide Tacchini, presidente della coperativa L’Ippogrifo che ha aderito, su indicazione del Comune di Piacenza, al progetto Sparar (protezione richiedenti asilo rifugiati), il sistema di riferimento che dal 2011 ha messo a disposizione 3mila posti, oggi 20 mila, al 2017 si pensa di arrivare a 40mila. “All’accoglienza lavora un’equipe multidisciplinare- ha detto- questa è la vera potenzialità, secondo un’impostazione pro attiva non assistenziale. Solo la cultura, la conoscenza e l’informazione lottano contro la xenofobia”. Anche la Caritas diocesana ha preso spunto dal progetto Sprar e ad oggi accoglie 33 persone. In Italia sono mille i comuni eh hanno aderito su 8mila, in provincia di Piacenza solo uno.
MORCONE: “I SINDACI NON POSSONO DIRE NO ALL’ACCOGLIENZA”
“I sindaci non possono dire no all’accoglienza, si rendano protagonisti del territorio”. Suona come un monito quello che il prefetto Mario Morcone rivolge ai sindaci che si sono rifiutati, negli ultimi anni, di ospitare i richiedenti asilo nei loro comuni. E’ troppo facile dire no, insomma, al contrario si rendano protagonisti dei propri territori. Si parla di equa distribuzione, di responsabilità degli enti locali e di aspettative dei cittadini nell’incontro organizzato dalla Provincia. Ma quello che più viene contestato è un sistema accoglienza che non funziona. Nel senso che il richiedente asilo dovrebbe essere seguito, impegnato nel corso della sua permanenza, in modo da essere soggetto attivo della vita del territorio che lo ospita e nel contempo poter contare su un appoggio anche una volta terminato il percorso.
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GESTIONE PROFUGHI: COSA NON E’ FUNZIONATO?
Prima o poi questo momento sarebbe arrivato. Opporsi costantemente all’arrivo e alla gestione dei richiedenti asilo ha portato a ben poco, praticamente nulla. Nel senso che ha solo posticipato un evento che sarebbe arrivato, prima o poi. Perchè, fin da un anno e mezzo a questa parte, alcuni comuni si sono detti disponibili all’ospitalità e altri no? Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una netta sproporzione tra i territori della provincia. Perchè non si sono create regole che gestissero questa ospitalità, anche interne dal momento che per lo Stato basta dare vitto e alloggio senza alcun progetto di accoglienza a questi profughi? Eppure qualche esempio virtuosi esiste anche in provincia di Piacenza, in un caso due ragazzi del Mali sono stati assunti e oggi lavorano in un’azienda del territorio. Quello che è carente è la gestione dell’accoglienza. Ma non solo anche il post – accoglienza. Nel senso che terminato il periodo questi ragazzi sono fuori senza casa e soprattutto senza un lavoro, fatta eccezione di qualche raro caso. La Prefettura si trova a gestire una situazione che non le appartiene per vocazione, nel senso che non fa parte dei comuni che al contrario sono chiamati a gestirli, i propri territori. E allora in attesa che qualcosa cambi dall’alto, forse sarebbe il caso che ognuno si prendesse le proprie responsabilità.
PROFUGHI, IL MONDO FUORI DOPO L’ACCOGLIENZA. A TUTTO TONDO
Siamo stati a Ponte dell’Olio, uno dei comuni della provincia che fin da subito, volente o meno, ha accolto i primi gruppi di richiedenti asilo. Dopo i primi mal di pancia da parte dei residenti, le acque si sono calmate e oggi tutto fila liscio. Questo grazie anche al percorso che comune e cooperativa Ippogrifo hanno impostato con questi ragazzi. Corsi di italiano, brevi periodi di lavori socialmente utili, corsi alla scuola edile per imparare un mestiere. E poi la costante ed assidua presenza degli operatori che, giornalmente, seguono i ragazzi anche le incombenze burocratiche. Due di loro hanno travato lavoro in un ditta del paese. Ma per la maggior parte la storia è diversa. Nel senso che terminati i due anni hanno i documenti ma nulla che li faccia sentire indipendenti. Non hanno un lavoro né una casa, sebbene il loro percorso sia terminato. Nulla di irregolare perchè questo è il sistema. La realtà però è un’altra.
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SOUMAILA: “SPERO IN UNA VITA MIGLIORE, SONO UN UOMO COME VOI”
Soumaila ha 22 anni, è arrivato a Piacenza nel marzo del 2014. Fa parte dei giovanissimi originari della Costa d’Avorio arrivati in città insieme ai primi gruppi di richiedenti asilo. Proprio quelli partiti dall’Africa a bordo dei barconi, gli stessi che si vedono sulle pagine dei giornali o nelle immagini dei tg. Raccontare la sua storia gli costa fatica, si vede, ripercorrere i momenti che lo hanno staccato dalla famiglia, la guerra civile che oggi sta vivendo il suo paese, lo rattristano. “Sono arrivato con in barconi dalla Sicilia – racconta – poi a Bologna in aereo e in pullman a Piacenza dai Frati di Santa Maria di Campagna”. Soumaila, insieme a 13 connazionali, è ospite dei frati minori di santa maria di campagna. Una convivenza segnata da regole, orari, pranzi e cene insieme, turni per la preparazione dei pasti. Poi la scuola. Soumaila, nel suo anno e mezzo di permanenza a Piacenza ha ottenuto la licenza media e studiato l’italiano che oggi parla correttamente ed è stato invitato, insieme al mediatore culturale della Caritas in alcune scuole della città per raccontare la sua esperienza. “Quando sono arrivato a Piacenza ho incominciato ad andare a scuola ed ho preso la licenza media, è stata dura ma, con l’impegno, ce l’ho fatta. Quando vado nelle scuole a raccontare la mia esperienza i ragazzi mi chiedono perchè sono scappato dal mio paese; loro pensano che noi siamo venuti in Italia per rubare il lavoro, ma non è così. Abbiamo bisogno di amici – spiega – di gente con cui parlare per imparare la lingua. I primi tempi mi sono sentito spesso solo, senza amici, ora però va meglio. E per il suo futuro spera di ottenere, al più presto, il permesso di soggiorno, la carta d’identità e il titolo di viaggio. E poi un lavoro, per una vita migliore. “Spero in una vita migliore, in un buon futuro, sono un uomo come voi che ha diritto a vivere una vita migliore”. Soumaila fa parte del gruppo di giovani africani accolti dalla Caritas diocesana. Una realtà che ha messo in campo professionisti e volontari per rendere l’accoglienza migliore, al di là del vitto e dell’alloggio, con un progetto di formazione volto all’integrazione e all’autonomia. “Abbiamo seguito un percorso specifico – spiega Youness Kabouchi collaboratore Caritas, mediatore linguistico e culturale progetto accoglienza profughi – che non si limita solo al vitto e alloggio, ma anche ai corsi di italiano, attività sportiva. Abbiamo provato ad integrare questi ragazzi togliendolo dall’isolamento e dalla solitudine”.
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