E’ stato il vescovo mons. Adriano Cevolotto ad accendere il cero donato ogni anno dal comune alla basilica in occasione della festività del santo patrono.
Un gesto dal valore fortemente simbolico che è sempre stato eseguito dal sindaco in carica, un momento solenne che segna quel senso di appartenenza della comunità al suo patrono. Avrebbe dovuto accenderlo la sindaca Katia Tarasconi, impossibilitata in questa prima uscita ufficiale dalla positività al Covid che la ha impedito di partecipare a tutti i momenti ufficiali legati alle celebrazioni di Sant’Antonino. Per lei, don Luigi Basini ha letto una lettera:
“Il 4 luglio è l’occasione in cui si rafforzano il senso di appartenenza e la coesione sociale, la riscoperta delle nostre radici, il profilo di un’identità capace di aprirsi, nella solidarietà e nell’amore, all’incontro e al dialogo con il prossimo”.
“Perché qui, oggi, è il cuore di Piacenza: in una comunità che si ritrova e si riconosce intorno ai valori della carità cristiana, nel significato delle nostre tradizioni e di una ritualità mai fine a se stessa, nel calore di un abbraccio che vuol dire inclusione, accoglienza, ascolto reciproco.
“Nell’avvicendarsi degli incarichi istituzionali e politici, credo che in questi principi stia il filo conduttore che siamo chiamati, con spirito di servizio, a seguire”.
Un’omelia, quella di mons. Cevolotto, dai tratti marcatamente civili, certamente legata alla celebrazione del patrono, ma da qui protesa verso una comune riflessione sul concetto di bene comune. Partendo dalla testimonianza coraggiosa e appassionata del martire Sant’Antonino, ha chiesto ai fedeli “cosa siamo disposti a metterci di nostro?” ha parlato di grave patologia partecipativa riferendosi alla bassissima affluenza dell’ultima tornata elettorale, auspicando che l’azione sia l’azione politico amministrativa a suturare la ferita di fiducia.